Ai superstiti di Calatafimi

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Così, prodi, così lasciaste a noi
D'una patria il retaggio;
L'avvenir vi darà nome di eroi,
Ma il presente, più saggio,

Vi gracida così: « Dell'Ideale
Colmi la mente e il petto,
Poeti foste, e il senso del reale
In voi fece difetto.

Sangue spendeste, e seminaste in cento
Campi le vostre carni
Lacere; ad ogni rischio, ad ogni stento,
Rotti, squallidi, scarni,

Movendo incontro: e poi che, al fin vinceste
Ed afferraste il lido,
Voi, d'ltalia fattor, voi non coglieste
Tanto da farvi il nido.

Per l'irto orgoglio, che, turgido flutto,
Vi precluse ogni via,
Voi l'albero piantaste, ed altri il frutto
Ne ciba. Or ben vi stia.

Ben vi stia se un tugurio ed uno strame
Vi prodiga la sorte,
Se di voi ride il mondo, e se la fame
Batte alle vostre porte.

Esser leone è ben, ma un po' di volpe
Ci vuol dentro il cervello...
Le provvide malizie non son colpe:
Lo scrisse il Machiavello.

Apprender l'arte ben sagace e fina
Di chi volvesi e gira
Ora a destra, ora a centro, ora a mancina,
Secondo il vento spira;

Parteggiar pel successo e pel banchetto
Della prospera sorte;
Starsene queto, avviticchiato e stretto
Sempre, sempre al più forte:

Queste le norme onde abbrancar pel ciuffo
L'instabil Dea, con queste
Non è a temer vortici e gorghi, o buffo
Di venti e di tempeste.

Con vele aperte, d'ogni pondo scarca,
Fatta secura appieno,
Con esse andrebbe omai la vostra barca
Per mar fido e sereno,

Al porto andrebbe, ove i fastosi onori
E la pingue Opulenza
Stanno sul lito, e spande i suoi favori
La fulgida Potenza.

L'alma felicità con tonda faccia
E con amabil riso
Ivi aprirebbe a voi le rosee braccia
Baciandovi sul viso...

Invece ?... Uno stambugio, un pan stentato
Ed una larva ardita :
O malaccorti, è questo il vostro fato,
Questa per voi la vita !..

Così vien recitando il piccioletto
Vulgo a Voi, luminoso
Rudero di battaglie; e Voi, con detto
Fra beffardo e sdegnoso:

«E sia. Lustro ed onori al tumido pavone,

La fiera solitudine e il deserto al leone.

L'aquila che in un cavo dell'alpi il nido ha fitto

E che pugna, e che stenta a procacciarsi il vitto,

Ma che spazia, che s'alza, che varca il monte, il piano,

Che domina la selva, che affronta l'uragano,

E nel sole, esultando, nel sol che disfavilla,

Beve la luce, beve senza muover pupilla;

Forse il lombrico invidia che nel limo si abbica

E, pascendo a suo agio, di melma si nutrica ?

A ciascun la sua parte. Ad altri il nobil merto

Di ben fiutare il vento, e ritrarsi al coperto,

E in ogni dì foggiando nuovi e fallaci dei,

Dicendo al sol : sei l'ombra, all'ombra il sol tu sei,

All'eterna Menzogna, all'immonda Sirena

Curvar l'anima abbietta e la codarda schiena.

A noi balda e sincera la povertà che sdegna

Le oblique arti e dei Buoso la svergognata insegna;

A noi l'aria, la luce, il mar selvaggio, e pura

E fida amica, e madre, questa immensa Natura

Che ci mantien pur saldi muscoli e nervi, e dorso

Franco di basto, e bocca libera e senza morso,

E capo cretto, e guardo securo, anima altera

Che s'infrange, non piega, e coscienza intera.

A noi salir la rocca faticosa ove stende

Le man rudi la gloria a chi tenace ascende :

A noi, nel pan stentato, dello stento l'ebbrezza

Acre gustar, che a sensi alti l'anima avvezza,

E parerci una reggia la squallida stamberga

Che, ignudi, è ver, ma onesti, ma liberi ci alberga.

Oh la pingue opulenza ! Oh gli onori fastosi!

Ai mimi, ai mimi, ai lepidi Girelli; ai gloriosi

Gingillini del tempo a cui l'utile è nume,

E trafficar dei martiri fin l'ossa han per costume.

A noi, grulli ed ingenui, basti, e fia molto, il dire,

Coll'occhio intento ai vigili astri dell'avvenire,

Il dir fra le macerie e le infrante catene :

La terza Italia è sangue, sangue di nostre vene.»

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