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AHI lasso! or è stagion di doler tanto
A ciascun uom che ben amar ragione,
Ch’io meraviglio chi trovi guarigione
Che morte non l’ha già corrotto e pianto,
Veggendo l’alta fior sempre granata
E l’onorato antico uso romano,
Certo per lei crudel fatto e villano,
S’avaccio ella non è ricoverata;
Chè l’onorata sua ricca grandezza
E ’l pregio quasi e già tutto perito,
E lo valore e ’l poder si disvia.
Ahi lasso! or quale dia
Fu mai tanto crudel dannagio udito?
Dio, com’hailo soffrito
Che dritto pèra, e torto entri in altezza?
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Altezza tanta in la sfiorata Fiore
Fu, mentre ver se stessa era leale,
Che riteneva modo imperiale
Acquistando per suo alto valore
Province e terre, presso e lungo, mante;
E sembrava che far volesse impero,
Si come Roma già face, e leggero
Gli era, ciascun non contrastante.
E ciò gli stava ben certo a ragione,
Chè non se ne penava a suo pro tanto
Come per ritener giustizia e poso:
E poi fulli amoroso
Di far cïò, si trasse avanti tanto,
Ch’al mondo non e canto
U’ non sonasse il pregio del Leone.
Leone, lasso! or non e, ch’io lo veo
Tratto l’unghie e li denti e lo valore,
E ’l gran lignaggio suo morto a dolore
Ed in crudel prigion messo a gran reo!
E ciò gli ha fatto chi? quelli che sono
Della gentil sua schiatta stratti e nati,
Che fur per lui cresciuti ed avanzati
Sovra tutt’altri e collocati in bono.
E per la grande altezza ove gli mise
Innantir sì, che ’l piegar quasi a morte.
Ma Dio di guerigion feceli dono
Ed e’ fè lor perdono;
Ed anche il rifedir poi, ma ’l fu forte
E perdonò lor morte:
Or hanno lui e sue membra conquiso.
Conquiso è l’alto Comun fiorentino,
E col Sanese in tal modo ha cangiato,
Che tutta l’onta e lo danno, che dato
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Gli ha sempre, come sa ciascun latino,
Li rende, e prende e tolle l’onor tutto.
Chè Montalcino áve abattuto a forza,
E Montepulcïan miso in sua forza
E di Maremma e Laterina ha il frutto.
San Gemignan, Poggibonizzi e Colle
E Volterra e ’l paese a suo tïene,
E la campana e l’insegne e gli arnesi,
E gli onor tutti presi
Have, con ciò che seco avea di bene;
E tutto ciò gli avviene
Per quella schiatta ch’è più ch’altra folle.
Foll’è chi fugge il suo prò e chêr danno,
E l’onor suo fa che in vergogna ’i torna,
E di libertà bona, ove soggiorna
A gran piacer, s’adduce a suo gran danno
Sotto signoria fella e malvagia,
E suo signor fa suo grande nemico.
A voi che siete or in Fiorenza, dico
Che ciò ch’è divenuto par vi adagia.
E poi che gli Alamanni in casa avete
Servitevi ben, e fatevi mostrare
Le spade lor, con che v’han fesso i visi
E padri e figli uccisi;
E piacemi che lor deggiate dare,
Perch’ebbero in ciò fare
Fatica assai, di vostre gran monete.
Monete mante e gran gioi’ presentate
Ai Conti ed agli Uberti e agli altri tutti
Ch’a tanto grande onor v’hanno condutti
Che miso v’hanno Siena in potestate!
Pistoja e Colle e Volterra fanno ora
Guardar vostre castelle a vostre spese,
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E ’l conte Rosso ha Maremma e ’l paese,
E Montalcin sta sicur senza mura;
Di Ripafratta teme era il Pisano,
E ’l Perugin, che ’l lago no’ ’i togliate.
E Roma vuol con voi far compagnia,
Onore e signoria.
Or dunque pare che ben tutto abbiate
Ciò che disiavate:
Potete far, cioè, re del Toscano.
Baron lombardi, roman e pugliesi
E Toschi e romagnuoli e marchigiani,
Fiorenza, fior che sempre rinnovella,
A sua corte s’appella,
Che fare vuol di se re de’ Toscani,
Da poi che li Alamanni
Have conquisi per forza e i Sanesi.