Egloga (Benivieni)

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EGLOGA.

Mopso, Titiro e Pico. Mopso Surge in Etruria a piè de l'alpi un monte, Che già d'eccelse torri alta e superba Corona cinse sua cornuta fronte. Or d'alti boschi ricoperto e d'erba, L'orride spalle e 'l fredd ventre excide, Che 'l nome ancor de la sua gloria serba Sol per colei che prima a' suoi piè vide, E vede ancor de le sue spoglie ornata Nel bel fiume specchiarsi ove or s'asside: E con occhio superbo ancor lo guata Quasi sdegnoso; e pur da sua bellezza Tratto, riman la mente conosolata. Così vinta talor la sua durezza, Par che beningno ne l'ombrosa valle Costei vagheggi dalla somma altezza. Tra 'l fiume e 'l monte nel più vago calle, Dove un bel prato siede, a cui fanno ombra De l'alto poggio le cornute spalle; Tra l'erba e i fior, sotto un bel lauro a l'ombra, Titiro e Pico in su le gelid'onde Del bel fiume tirren ch'Etruria ingombra, Lieti giacean cantando da le fronde Sacre coperti; a la lor voce alterna Ecco gli orecchi porge, e poi risponde. Come talor nel dolce tempo sverna Progna o la suora, allor che al suo lamento L'altra risponde e 'l flebil canto alterna. Ed io con essi alla dolce ombra intento A gli alti versi mi sedea notando, Mentre pascean le gregge e 'l vago armento. Così Titir tacea contento, quando Pico cantava: e come Pico tace, Titir così gli risponde cantando: Titiro Se mai ti piacque il divin canto o piace, Vien, Febo, a incoronar le sacre tempie, Mentre or cantando a l'ombra tua si giace. Pico Se Pleona il cor de la sua grazia or m'empie, Non Clio più invocherò, non Euterpe; Ma sorde son sue orecchie acerbe ed empie. Titiro Floria com'edra in troncon viva serpe Nel cor mio afflitto, e poi di man mi fugge, come fra l'erbe e i fior pulita serpe. Pico Pleona qualor s'infiamma, irata rugge, E come nebbia al vento si dilegua, E 'l mio cor come neve al sol si strugge. Titiro Prima fia infra le gregge e i lupi tregua, E pace avran con gli orsi i nostri armenti, Che Floria non mi fugga, io non la segua. Pico Prima a gli alberi fien gli orridi venti Benigni, a le mature biade l'acque, Che di Pleona il cor non si contenti. Titiro Ben fu già grata a' miei stolti occhi, e piacque Misona a Floria ancora, infino a tanto Che col suo sposo adulterata giacque. Pico Cantate lieti; e tu, o marito, intanto Ben puoi contento omai sparger le noce Che insieme è nato col tuo gaudio il pianto. Titiro Fuggi, Florida mia, con più veloce Passo; già Polifemo a sè raccoglie Le gregge; onde il tardar sovente nuoce. Pico Ritorna a l'ombra de le sacre foglie, Dolce mia Galatea; la serpe al sole Fischiando la veloce lingua scioglie. Titiro Ridono i prati, ove le luci sole Floria mia volge, e incoronar si vede L'erba di bianche e pallide viole. Pico Ovunque torce il suo rustico piede Misona, o gli occhi, per le piagge i fiori Cadono, e l'erba al tristo aspetto cede. Titiro Escon da gli alti boschi i lupi fuori: Raccoi, Tirsi, gli armenti, e voi l'errante Greggia volgete al vostro ovil, pastori. Pico Torna, Delia, che fai? da l'alte piante Già l'ombra scorcia co' suoi raggi Apollo, Che pur mo fiammeggiar parea in levante. Titiro Lasso, che amor da l'indurato collo, Crudel, d'un paventoso taur disciolse L'attrito giogo, e intorno al mio legollo. Pico Amor da' biondi crin benigno sciolse Di Pleona gentile un aureo laccio, Con le sue mani, e intorno al mio l'avvolse. Titiro Lacera al foco al sole il vitreo ghiaccio, Ed io a gli occhi tuoi, Floria mia bella, Mi struggo ardendo, e talor freddo agghiaccio. Pico L'erbetta per le piagge tenerella Con gli altri fiori al sol si nutre e cresce, Ed io a' raggi di mia viva stella. Titiro Muor fuor de l'acque in secco lito il pesce, L'agnel ne l'onde; io fuor de le tue luce Muoio e rinasco; onde di me m'incresce. Pico Pommi ne l'acqua, o dove il foco luce, Lieto cantando viverò mill'anni, Pur che Pleona mi vegga o sua luce. Titiro Vivon, miserte greggi, a' vostri danni Intenti i lupi, e i cani intenti a quelli; Floria a' miei sospiri ed a gli affanni. Pico Porgon le madri a' lor teneri agnelli Pietose il latte; e me Pleona vivo Tien sol col lume de' suoi occhi belli. Titiro Cede il pallido giunco al verde ulivo; Cede a gli eccelsi pin l'umil viburno; Cede ogn'altra a costei che scrivo. Pico Cede a la luna ogni splendor notturno, La luna al sole, a Pleona il sol, veggendo, Gli occhi suoi vaghi, e 'l chiaro volto eburno; E Floria vinta si riman piangendo.

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