Canzone epitalamica per nozze delli sigg Zappi Maratti

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Sulla Riva del Penèo
Stava Dafne ancor fastosa
In pensar che disdegnosa
Già deluse il Nume Ascrèo,
Ch'a rapirla mentre corse
6Divenir Lauro la scorse.

Corsi avea mille e mill'anni
Da quel dì che mutò forma,
Nè però l'antica norma
Perde mai tra i propri danni;
Ch'ella ancor vegeta, e vive
12Di sue voglie acerbe e schive.

De' suoi rami all'ombra verde
Mille inganni eran conversi
Con gran lodi, e vaghi versi,
Quali il vento pur disperde,
Ch'a ben pochi ella risponde
18Coll'onor delle sue fronde.

Solo un dì vicino a lei
Diè di man [Tirsi](/wiki/Autore:Giambattista_Felice_Zappi) alla Lira,
Con la qual tai grazie spira,
Che innamora Uomini e Dei.
Bella Dafne, egli dicea,
24Bella Dafne, amata Dea,

Dunqu'è ver, ch'ancor tu serbi
Fra tue brame inique e crude
In sembianza di virtude
I tuoi genî più superbi?
Dunqu1 è ver che mai non pensi.
30Di mutar gli antichi sensi?

Se cangiar gli aspri costumi
Tu volessi e il cor feroce,
Tenterei con la mia voce
Di placar gì' irati Numi;
E far sì che in le tue forme
36Novamente ti trasforme.

Non è sol d'Orfeo la Cetra,
Che dal regni della Morte
La smarrita sua Consorte
Ritirar col canto impetra;
Cangia omai l'usanza rea
42Bella Dafne amata Dea.

A tal dir rise ciascuno,
In udir, com' ei ricorda
Vecchi amori ad una sorda,
Ch'ora è tronco oscuro e bruno;
E rideano: chè il lamento
48Sparga Tirsi invano al vento.

Ma la Ninfa, che tra i rami
Riteneva umana mente,
Pensa udir Febo presente,
Che all'antico Amor la chiami:
Tal le sembra al biondo crine,
54E alle Rime alte e divine.

Omai stanca di star sempre
Sotto il vel di dura scorza,
Apre il cuore a nuova forza,
Che l'invoglia a cangiar tempre;
Volge a Tirsi il vago ciglio,
60E d'amar prende consiglio.

Cesse appena al nuovo affetto
Che ogni ramo si disciolse;
E alla prima effigie volse
Il bel volto, il fianco, il petto:
Tal se 'n va la rozza vesta
66Col rigor ch'ella detesta.

Era pur bella a vederse
Da quel tronco apparir fuore,
Con miracolo maggiore
D'allor quando i rami aperse:
Poichè puote lunga etade
72Conservar tanta beltade.

Nero ha il crine, e bianco il volto,
Come l'Alba in Orizzonte,
Che ha la notte in sulla fronte,
Ed il dì nel viso accolto.
Non così bella sorgea
78Dalle spume Citerea.

E pentita dell'asprezza
Già mostrata al caro Amante,
Verso lui muove altrettante
Dolci grazie, e l'accarezza:
E poich' altra si ravvisa
84Cangiar nome ancor s'avvisa.

Non più Dafne, disse, io voglio,
Che verun giammai mi nome:
Resti pur l'ingrato nome
Alla fronda, ch'io mi spoglio:
Resti ancor l' aspro soggiorno,
90Ne più qui faccio ritorno.

Così detto, al dubbio affanno,
Ch' ondeggiava a Tirsi in viso,
Che non era il Dio d'Anfriso
Ben notò: ma dell' inganno
Non le increbbe, che ha gentile
96Quanto Febo aspetto e stile.

Duo bei rami coglie alfine
Della sua spogliata fronda,
E coll'uno a sè circonda,
E coll'altro a Tirsi il crine,
Chè ambidue portan corona
102Nel bel Regno d'Elicona.

Che non men di Tirsi appresa
La bell'Arte avea la Bella
Coll'armonica favella,
Che da tanti aveva intesa:
Sembra Tirsi il biondo Dio,
108E la Ninfa Euterpe o Clio.

Ma seguendo il suo pensiero,
L'alta Coppia il cammin prese,
E dell'Arcade paese
Cittadini ambo si fero:
E la Bella, qual risolse,
114Qui d'Aglauro il nome tolse.

Scese allora il santo Imene,
Ch'ambidue stringe ed allaccia:
Mentre poi l'un l'altro abbraccia,
Risuonar l'acque e l'arene,
E rispose il Cielo e l'aura:
120Viva Tirsi e viva [Aglaura](/wiki/Autore:Faustina_Maratti).

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