Canzone di Legnano

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[Nuvola apps bookcase.svg](/wiki/File:Nuvola_apps_bookcase.svg) Questo testo fa parte della raccolta [Poesie (Carducci)](/wiki/Poesie_(Carducci))

[p. [1037](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1063)]

DELLA «CANZONE DI LEGNANO»

PARTE I.

[1879]

[p. [1039](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1065)]

[Il Parlamento.png](/wiki/File:Il_Parlamento.png)

IL PARLAMENTO

I.

Sta Federico imperatore in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano
Da Porta Nova a briglie abbandonate.
“Popolo di Milano,„ ei passa e chiede,
5“Fatemi scorta al console Gherardo„.
Il consolo era in mezzo de la piazza,
E il messagger piegato in su l’arcione
Parlò brevi parole e spronò via.
Allor fe’ cenno il console Gherardo,
10E squillaron le trombe a parlamento.

[p. [1040](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1066)]

II.

Squillarono le trombe a parlamento:
Ché non anche risurto era il palagio
Su’ gran pilastri, né l’arengo v’era,
Né torre v’era, né a la torre in cima
15La campana. Fra i ruderi che neri
Verdeggiavan di spine, fra le basse
Case di legno, ne la breve piazza
I milanesi tenner parlamento
Al sol di maggio. Da finestre e porte
20Le donne riguardavano e i fanciulli.

III.

“Signori milanesi,„ il consol dice,
“La primavera in fior mena tedeschi
Pur come d’uso. Fanno pasqua i lurchi
Ne le lor tane, e poi calano a valle.
25Per l’Engadina due scomunicati
Arcivescovi trassero lo sforzo.
Trasse la bionda imperatrice al sire
Il cuor fido e un esercito novello.
Como è coi forti, e abbandonò la lega.„
30Il popol grida: “L’esterminio a Como.„

[p. [1041](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1067)]

IV.

“Signori milanesi,„ il consol dice,
“L’imperator, fatto lo stuolo in Como,
Move l’oste a raggiungere il marchese
Di Monferrato ed i pavesi. Quale
35Volete, milanesi? od aspettare
Da l’argin novo riguardando in arme,
O mandar messi a Cesare, o affrontare
A lancia e spada [il Barbarossa](//it.wikipedia.org/wiki/Federico_I_del_Sacro_Romano_Impero) in campo?„
“A lancia e spada,„ tona il parlamento,
40“A lancia e spada, il Barbarossa, in campo.„

V.

Or si fa innanzi [Alberto di Giussano](//it.wikipedia.org/wiki/Alberto_da_Giussano).
Di ben tutta la spalla egli soverchia
Gli accolti in piedi al console d’intorno.
Ne la gran possa de la sua persona
45Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
La barbuta: la bruna capelliera
Il lato collo e l’ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
50È la sua voce come tuon di maggio.

[p. [1042](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1068)]

VI.

“Milanesi, fratelli popol mio!
Vi sovvien„ dice Alberto di Giussano
"Calen di marzo? I consoli sparuti
Cavalcarono a Lodi, e con le spade
55Nude in man gli giurar l’obedïenza.
Cavalcammo trecento al quarto giorno.
Ed a i piedi, baciando, gli ponemmo
I nostri belli trentasei stendardi.
Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi
60Di Milano affamata. E non fu nulla.„

VII.

“Vi sovvien„ dice Alberto di Giussano
“Il dí sesto di marzo? A i piedi ei volle
Tutti i fanti ed il popolo e le insegne.
Gli abitanti venian de le tre porte,
65Il carroccio venía parato a guerra;
Gran tratta poi di popolo, e le croci
Teneano in mano. Innanzi a lui le trombe
Del carroccio mandar gli ultimi squilli,
Innanzi a lui l’antenna del carroccio
70Inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi.„

[p. [1043](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1069)]

VIII.

“Vi sovvien?„ dice Alberto di Giussano:
“Vestiti i sacchi de la penitenza,
Co’ piedi scalzi, con le corde al collo,
Sparsi i capi di cenere, nel fango
75C’inginocchiammo, e tendevam le braccia,
E chiamavam misericordia. Tutti
Lacrimavan, signori e cavalieri,
A lui d’intorno. Ei, dritto, in piedi, presso
Lo scudo imperïal, ci riguardava.
80Muto, col suo dïamantino sguardo.„

IX.

“Vi sovvien,„ dice Alberto di Giussano,
“Che tornando a l’obbrobrio la dimane
Scorgemmo da la via l’imperatrice
Da i cancelli a guardarci? E pe’ i cancelli
85Noi gittammo le croci a lei gridando
— O bionda, o bella imperatrice, o fida,
O pia, mercé, mercé di nostre donne! —
Ella trassesi indietro. Egli c’impose
Porte e muro atterrar de le due cinte
90Tanto ch’ei con schierata oste passasse.„

[p. [1044](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1070)]

X.

“Vi sovvien?„ dice Alberto di Giussano:
“Nove giorni aspettammo; e si partiro
L’arcivescovo i conti e i valvassori,
Venne al decimo il bando — Uscite, o tristi,
95Con le donne co i figli e con le robe:
Otto giorni vi dà l’imperatore — .
E noi corremmo urlando a Sant’Ambrogio,
Ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri.
Via da la chiesa, con le donne e i figli,
100Via ci cacciaron come can tignosi.„

XI.

“Vi sovvien„ dice Alberto di Giussano
“La domenica triste de gli ulivi?
Ahi passïon di Cristo e di Milano!
Da i quattro Corpi santi ad una ad una
105Crosciar vedemmo le trecento torri
De la cerchia; ed al fin per la ruina
Polverosa ci apparvero le case
Spezzate, smozzicate, sgretolate;
Parean file di scheltri in cimitero.
110Di sotto, l’ossa ardean de’ nostri morti.„

[p. [1045](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1071)]

XII.

Cosí dicendo Alberto di Giussano
Con tutt’e due le man copriasi gli occhi,
E singhiozzava: in mezzo al parlamento
Singhiozzava e piangea come un fanciullo.
115Ed allora per tutto il parlamento
Trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e da i veroni,
Pallide, scarmigliate, con le braccia
Tese e gli occhi sbarrati al parlamento,
120Urlavano — Uccidete il Barbarossa — .

XIII.

“Or ecco,„ dice Alberto di Giussano,
“Ecco, io non piango più. Venne il dí nostro,
O milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m’asciugo gli occhi, e a te guardando,
125O bel sole di Dio, fo sacramento:
Diman da sera i nostri morti avranno
Una dolce novella in purgatorio:
E la rechi pur io!„ Ma il popol dice:
“Fia meglio i messi imperïali.„ Il sole
130Ridea calando dietro il Resegone.

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[p. [1047](/wiki/Pagina:Poesie_(Carducci).djvu/1073)]

[Note Canzone di Legnano.png](/wiki/File:Note_Canzone_di_Legnano.png)

NOTA

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Dovrebbe essere inutile il dichiarare, che io, ripigliando in poesia l’argomento della battaglia di Legnano, non intesi venire pur da lontano a contrasto o a paragone con [Giovanni Berchet](/wiki/Autore:Giovanni_Berchet) e [Terenzio Mamiani](/wiki/Autore:Terenzio_Mamiani), poeti e scrittori nobilissimi che io stimo ed ammiro; e a’ cui alti ideali letterari la patria deve assai piú che non mostri accorgersi o ricordare la nuova generazione. Di questo breve poema, che presi a scrivere tre anni fa per amore del vero storico e della epopea medievale, pubblico ora una parte, almeno come protesta contro certe teoriche, le quali in nome della verità e della libertà vorrebbero condannare la poesia ai lavori forzati della descrizione a vita del reale odierno e chiuderle i territori della storia, della leggenda, del mito. Ma al poeta è lecito, se vuole e può, andare in Persia e in India non che in Grecia e nel medio evo: gl’ignoranti e gli svogliati hanno il diritto di non seguitarlo [1879].

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