[Nuvola apps bookcase.svg](/wiki/File:Nuvola_apps_bookcase.svg) Questo testo fa parte della raccolta [The Oxford book of Italian verse](/wiki/The_Oxford_book_of_Italian_verse)
[p. [180](/wiki/Pagina:The_Oxford_book_of_Italian_verse.djvu/180)]
QUAL peregrin nel vago errore stanco
De’ lunghi e faticosi suoi viaggi
Per lochi aspri e selvaggi,
Fatto già incurvo per etate e bianco,
Al dolce patrio albergo
Sospirando s’affretta e si rimembra
Le paterne ossa e la sua prima etate:
Di sè stesso pietate
Tenera il prende; e le affannate membra
Posar disìa nel loco ove già nacque,
E il buon viver gli piacque:
[p. [181](/wiki/Pagina:The_Oxford_book_of_Italian_verse.djvu/181)]
Tal io, che ai peggior anni oramai vèrgo,
In sogni, in fumo, in vanitate avvolto,
A te mie preghe volto,
Rifugio singolar, che pace apporte
Allo umano viaggio, o sacra Morte.
Qual navigante nella turbida onda
Tra l’ira di Nettuno e d’Eolo, aggiunto
Quasi allo stremo punto,
La cara merce, per camparne, affonda,
E il disiato porto
Rimirando, i perigli in mente accoglie,
E i lunghi affanni intra Cariddi e Scilla;
A vita più tranquilla
Pensa, e a lasciar le irate onde e le scoglie,
Da poi che ’l danno l’ave fatto saggio,
Del marittimo oltraggio:
Tal io, dell’empia mia fortuna accorto,
Macchiato e infetto in questa mortal pece,
A te volgo mia prece,
O porto salutar, che sol conforte
D’ogni naufragio il mal, splendida Morte.
Placidissimo sonno, alta quïete,
Cui Stige dona e l’alto Flegetonte,
Cocito ed Acheronte,
E la pigra onda del pallido Lete,
Ch’ogni memoria stingue,
Per te si straccia d’ignoranza il velo,
Sciocco è chi il tuo soccorso non intende,
E in tutto al ver contende;
Egli ha la vista tenebrosa al cielo
Che de la tua pietade il don non vede,
Che il gran Fattor ne diede.
Tu se’ l'alta possanza che distingue
[p. [182](/wiki/Pagina:The_Oxford_book_of_Italian_verse.djvu/182)]
Lo ver dal falso, dal valente il frale,
Dallo eterno il mortale;
O di magnanimi spiriti consorte,
A te mi volgo, generosa Morte.
Candido vien dal ciel, puro e divino,
L’animo immortal nostro in questa spoglia,
Ove al tutto si spoglia
Del lume di sua gloria. È il suo cammino
Fra paura e disìo,
Dolor, vane letizie, oltraggi ed ire,
Ove han pugna natura ed elementi
Fra eterni opposti venti.
Mirabil cosa fia, se il Ciel si mire,
Giusto gravato dall’infimo pondo
Dell'orbo, ingrato mondo!
Or tu rendi con atto onesto e pio
A un liber uom la prima libertate;
Ch’oggi da te pietate
Chiedendo, aspetta alla sua cruda sorte
Per la eterna tua man, inclita Morte.
Quel ben falso che vita ha nome in terra,
Se il si debbe ai tiranni è grave stento,
È sospiro, è lamento,
È affanno, infermità, terrore e guerra.
Natura all’uom matrigna
Intra mali cotanti esto sol bene
Ne diè per pace e libertade e porto;
A’ più savi è diporto,
Lo fine attender delle umane pene;
E dicon: ’ Non fia lungi chi ne scioglia
Con generosa voglia.
Tu se’ quella dal ciel data e benigna
Madre, ch’ogni viltà dei petti sgombri;
[p. [183](/wiki/Pagina:The_Oxford_book_of_Italian_verse.djvu/183)]
Tu i nostri mali adombri
Di eterna oblivïon. Delle tue scorte
Dunque m’affida, ed a te vengo, Morte.’
Qual di famosi ingegni e maggior gloria,
Ebrei, Greci, Latini, Arabi e Persi,
Di lingua e stil diversi,
Quanti di che le carte or fan memoria
Te han scritta e disiata!
Felice, disse alcun, chi muore in fasce:
Altri, quando la vita più diletta;
Chi, quando men s’aspetta:
Molti beato disser chi non nasce,
Molti con forte man t’han cerca e tolta,
Grave turba e non stolta!
Tu, co’ liberi spirti e giusta e grata,
Dagli schiavi li parti; tu ne sepri
I fior dagl’irti vepri;
Or tu l'ira regal fa che s’ammorte
Dentro il mio sangue: tel consacro, o Morte.
Ben prego prima Lui che sovra il legno
La rabbia estinse dell’orribil angue,
Che di suo diro sangue
N’asperga e mondi placido e benegno,
Guardando sua pietate,
E non già di mia vita il van discorso,
Che sotto l'ombre dell’error s’asconde.
I' sono al vento fronde,
Se non mi gira di lassù soccorso;
Sua infinita bontà mettasi sopra;
Delle sue man sono opra.
Morte, ministra della sua bontate,
Lavi dall'alma ogni più fedo crine,
Tu del celeste fine
[p. [184](/wiki/Pagina:The_Oxford_book_of_Italian_verse.djvu/184)]
M’apri le aurate sacrosante porte,
Cara, opportuna, disiata Morte.
Canzon, vivrai, me spento; e umil, ma forte,
Col [Tesbite](//it.wikipedia.org/wiki/Elia) n’andrai, con quel [da Tarso](/wiki/Autore:Paolo_di_Tarso);
Solo un Signor conosci e Quello adora,
Quel che, a non esser di sua grazia scarso,
Dolce e bella morendo fe’ la Morte.